Stefano e il panettone dai cento tasti - capitolo 3
Un'idea meravigliosa
La nostra storia comincia davvero il giorno della vigilia di Natale dell'anno scorso. Stefano e i suoi amici si erano incontrati nella casa di Alice, la figlia del direttore del cantiere edile, tutti contenti perché le vacanze scolastiche erano appena cominciate. La casa era molto grande, naturalmente, perché l'aveva costruita il papà di Alice, così c'era tanto spazio per giocare. I bambini erano tutti soli nella cameretta di Alice: la sua mamma era in un'altra stanza e il papà era al lavoro.
"Giochiamo che io ero Babbo Natale e vi portavo i regali", disse la figlia del fruttivendolo.
"Bisogna dire «facciamo finta che io sia Babbo Natale», in italiano" la corresse Marco.
"Uffa. Allora giochiamo che tu eri il maestro e mettevi i voti a tutti".
"Ma cosa vi facevo fare?" chiese Marco, che di solito parlava bene l'italiano ma quando si appassionava ai giochi si esprimeva anche lui come gli altri bambini.
"Ma no, ma dai, ma le scuole sono appena finite, facciamo un gioco diverso", disse la figlia del fruttivendolo. "Facciamo così. Giochiamo che io ero un drago, Marco era un cavaliere e tu eri un mago".
"No", rispose Stefano, "non mi piacciono i giochi realistici. Perché non andiamo a casa di Marco a giocare con il suo calcolatore?"
"Non si può assolutamente", spiegò Marco diventando anche un po' bianco in faccia. "Il mio calcolatore è troppo veloce per fare i videogiochi. Diventano così veloci che non si riesce a fare niente. Una volta ho provato a fare una partita a Il Piccolo Separatista Basco, un videogioco educativo che mi ha regalato la mia mamma per il mio compleanno, ma era così veloce che ho subito finito tutte e tre le vite che avevo, prima ancora che terminasse la musica della sigla. E poi il mio calcolatore ieri ha preso tre virus, un cavallo di Troia e un aggiornamento del sistema operativo Millefinestre Exagerato Porcapuzzola. Ai virus ci siamo abituati, ma l'aggiornamento lo blocca per un paio di giorni, finché non ha finito di scaricarlo tutto".
"Cos'è un cavallo di Troia?" chiese il figlio del lattaio.
"Non lo so di preciso", rispose Marco, "ho anche provato a chiedere al mio papà, ma si vede che aveva da fare, perché è diventato tutto rosso, mi ha detto che la nostra maestra è tanto una brava persona e poi è andato via. Secondo me non aveva capito bene e la maestra non c'entra niente. Oppure, forse non lo sa neanche papà. Esistono alcune cose così complicate che non le sanno neppure i segretari comunali."
"Incredibile. Senti, Stefano," disse allora la figlia del fruttivendolo guardandosi intorno un po' preoccupata, "ma tu che sei tanto bravo a... fare cose... con la tua bacchetta, potresti preparare un calcolatore fatto apposta per giocare?"
"Il mio papà non sarebbe contento", rispose Stefano un po' timidamente, "e mi direbbe che anche quelli che fabbricano i calcolatori hanno bisogno di lavorare, come tutti".
Marco ci pensò un po' su, e poi disse: "Mi sembra giusto, però tu potresti far apparire un calcolatore solo per un po', vero? Solo il tempo di fare una partita, poi lo fai sparire. Solo perché non sappiamo a che cosa giocare oggi."
Stefano scosse la testa: "Non si possono fare sparire le cose, e neanche apparire. Non funziona. La mamma dice che è contro la legge di conservazione di... la conservazione di non mi ricordo cosa."
Anche questa volta Marco era d'accordo con Stefano. "Giusto, anche il mio papà dice che le leggi sono molto importanti. Allora puoi trasformare lei in un calcolatore per giocare," disse, indicando la figlia del fruttivendolo, che diventò tutta rossa come un peperone. Un peperone rosso, perché ci sono anche i peperoni verdi e quelli gialli, e il suo papà li vendeva tutti e tre.
"Neanche questo è possibile", disse velocemente Stefano, prima ancora che la figlia del fruttivendolo potesse protestare, "perché non si possono trasformare le cose vive in cose morte o le cose morte in cose vive."
Intanto Alice era andata di corsa in cucina, e tornò con un panettone. "Puoi trasformare questo in un calcolatore per giocare?"
"Ma è senza canditi?" Chiese il figlio del lattaio, che era un bambino un po' goloso e grassottello.
"Giù le mani, è per domani che è Natale", gli spiegò gentilmente Alice. "Però possiamo giocarci un po' e poi Stefano può farlo diventare di nuovo un panettone, vero?"
Stefano ci pensò un po' su. "Potrei provarci", disse, "in effetti le dimensioni sono quasi giuste..."
Il piccolo mago prese la bacchetta magica dall'astuccio, si arrotolò le maniche fin sopra i gomiti e assunse un'espressione molto pensierosa. Si sedette in terra, davanti alla porta, per avere tanto spazio libero davanti a sé; in centro al pavimento poggiò il panettone. Gli altri bambini stavano zitti zitti in un angolo per non disturbarlo.
"Un calcolatore deve avere una tastiera", pensava Stefano, "allora comincerò a trasformare i canditi in tasti. Meno male che questo è un panettone coi canditi. Poi trasformerò lo scatolone in un monitor, perché serve anche quello. Il cartone è poco spesso, ma non fa niente, perché mi pare che adesso facciano sottili anche gli schermi dei computer. E poi trasformerò il resto del panettone nel corpo del calcolatore".
Stefano cominciò a recitare le sue formule magiche e a fare strani gesti con le mani che io non vi posso proprio descrivere perché io non sono un mago come lui. Il panettone cominciava a trasformarsi. La maniglia di corda che stava in cima diventò un manico, i canditi uscirono tutti, in fila indiana come tante formiche di tutti i colori, e si trasformarono in altrettanti tasti. Persino il cartellino del prezzo si agitò, cominciò a staccarsi lasciandosi dietro un filo di colla e all'improvviso diventò un mouse.
"Ehi", disse Marco, "stai più attento, così non va bene: quel mouse ha soltanto un tasto. Il mio calcolatore ne ha ventitré, tutti programmabili. E poi il mouse che hai fatto tu è tutto squadrato. Il mio è così affusolato che quando cerchi di prenderlo in mano schizza via come una saponetta."
Alice gli diede una gomitata: "Zitto, ché lo distrai!"
Stefano era soltanto un mago bambino, e la magia gli stava venendo abbastanza bene, ma non proprio perfetta. Il monitor si stava formando dalla scatola del panettone, ma non gli stava venendo fuori piatto e neppure staccato: era incorporato insieme al computer, subito al di sopra, e così la macchina stava risultando più alta che larga.
"Ho quasi finito", borbottò Stefano, un po' sudato per lo sforzo. Proprio in quel momento, però, la porta si aprì di scatto. Era la mamma di Alice, che portava in mano un grosso vassoio. "Ragazzi, vi ho preparato la merenda" stava dicendo. La porta colpì Stefano proprio mentre stava facendo lo sforzo maggiore. Dalla bacchetta magica uscì un grosso scintillone azzurro, che riempì la stanza. La mamma (che non aveva visto niente, perché il vassoio le copriva la visuale) entrò nella stanza, poggiò il vassoio sulla scrivania di Alice e si guardò intorno. "Toh, ma dove sono finiti tutti? Bambini? Dove vi siete nascosti?"
La stanza era proprio vuota. I cinque bambini erano spariti, portati via dalla magia. Restava soltanto lo strano, magico calcolatore in mezzo al pavimento. La mamma di Alice però non capiva niente di calcolatori e non lo degnò neppure di uno sguardo. Un po' preoccupata per la scomparsa della figlia e dei suoi amici uscì dalla stanza, pensando che i bambini volessero farle uno scherzo e che si fossero nascosti da qualche parte nella grande casa.